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La latinità longobarda come fonte per lo studio delle trasformazioni linguistiche tra tardo antico e alto medioevo nella penisola italiana

Il principale ambito di studi del gruppo di ricerca sul tema della latinità longobarda riguarda l’analisi linguistica delle testualità prodotte da scrittori riferibili ad un contesto di cultura longobarda tra il IX e l’XI secolo. Esse costituiscono fonti di primaria importanza per comprendere il processo storico del passaggio dal latino alle lingue romanze.

Non si deve pensare infatti che l’interesse di questi testi consista soltanto nei dati che forniscono, pur di grande valore, per comprendere trasformazioni di singole categorie e strutture. Essi permettono di intravedere molti tratti della dimensione linguistica che caratterizzò per lungo tempo le aree d’Italia che tra tardo antico e alto medioevo erano state esposte al contatto con genti di lingua e cultura germanica.

Il passaggio dal latino alle lingue romanze: un banco di prova per i modelli della sociolinguistica storica

L’attenzione della sociolinguistica alla molteplicità dei fattori di cambiamento e alla loro interazione sollecita nuovi approcci al tema in discussione. Dopo cinquant’anni di ricerca sociolinguistica, sarebbe infatti semplicistico considerare lo sviluppo del latino nei volgari romanzi esclusivamente in termini di catene di trasformazioni che si determinano all’interno dei sistemi linguistici (i cosiddetti “fattori interni” del cambiamento linguistico).  

D’altra parte, non è semplice valutare l’impatto che nozioni chiave della sociolinguistica come competenza comunicativa, bilinguismo, contatto linguistico, interferenza e diglossia possono rivestire nell’analisi di situazioni linguistiche del passato, dal momento che i luoghi del cambiamento linguistico non sono le lingue in sé ma i gruppi sociali che le adoperano.

Un problema di sociolinguistica del contatto di particolare rilevanza è il processo di sostituzione di lingua attraverso il quale i Longobardi passarono rapidamente al latino. Le moderne ricerche sul bilinguismo indicano che un simile processo, nelle sue prime fasi e anche in seguito, coinvolge una acquisizione imperfetta della lingua target. Inoltre i Longobardi erano stati più direttamente esposti al latino proprio quando questo stava attraversando una fase di cambiamento più intenso e accelerato.

D’altronde, la progressiva acculturazione dei Longobardi in senso romano e i loro scambi linguistici con i popoli di lingua latina costituirono a loro volta fattori di cambiamento culturale e linguistico. L’imperfetta acquisizione del latino da parte dei Longobardi può essere annoverata tra le dinamiche che concorsero alla sua trasformazione.

Studiare la transizione latino-romanzo in chiave sociolinguistica rappresenta dunque una sfida stimolante per i linguisti e, al contempo, un difficile banco di prova per testare le potenzialità di alcuni modelli teorici nell’interpretazione delle dimensioni macro e micro dei cambiamenti linguistici determinatisi in epoche passate.

Lastra con pavone in marmo bianco a Brescia
Lastra con pavone in marmo bianco, seconda metà VIII sec. Museo di Santa Giulia, Brescia. © Archivio fotografico Musei di Brescia / Fotostudio Rapuzzi.

I fattori esterni del cambiamento linguistico

La transizione dal latino alle lingue romanze fu un processo di cambiamento di notevole complessità e il suo studio richiede la comprensione non solo dei “fattori interni” del cambiamento linguistico, ma anche delle vicende storiche e dei contesti socio-culturali che caratterizzarono la tarda antichità e l’alto medioevo (i cosiddetti “fattori esterni” del cambiamento linguistico).

I cambiamenti demografici e culturali provocati dall’espansione dell’Impero romano e, in seguito, dalla sua frammentazione politica, rappresentano fattori esterni del cambiamento linguistico di particolare importanza, a cui vanno aggiunti gli effetti linguistici e culturali della concessione della cittadinanza romana a popoli di diverse etnie dal III secolo in poi, che comportò l’ampliamento dei repertori linguistici delle comunità che convivevano sotto il dominio romano. Il contesto di multilinguismo e di diglossia del tardo impero si modificò poi ulteriormente con l’intensificarsi dei contatti romano-germanici e con la formazione dei regni ostrogoto, longobardo, visigotico, franco.

L’interesse linguistico di queste trasformazioni è ben noto agli studiosi, ma è soltanto negli ultimi anni che si è iniziato a indagare in tale ambito anche dalla moderna prospettiva di sociolinguistica storica. In quest’ottica, altri aspetti di rilievo riguardano le trasformazioni del sistema educativo, che ebbero un significativo impatto sulla formazione delle abilità e competenze linguistiche, e la ridotta circolazione di popoli, merci e idee che caratterizzò il lento declino e poi la caduta dell’Impero Romano, con la conseguente diminuzione delle occasioni di scambio e di comunicazione.

Un punto di vista privilegiato: le prassi legali della Langobardia Maior e Minor

I complessi processi di trasformazione linguistica menzionati possono essere osservati nei documenti delle prassi legali provenienti dalla Langobardia Maior e Minor, che nel confronto lasciano a loro volta scorgere, accanto ad affinità di struttura linguistica, anche differenze non trascurabili. In quest’ottica, un’indagine comparativa particolarmente promettente riguarda l’influenza dei livelli linguistici del contesto di contatto nella formazione delle abilità dei notai.

Il latino, nelle sue diverse articolazioni di registri e stili, doveva far parte del repertorio, se non di tutti gli appartenenti alle comunità sociali in cui i notai erano inseriti, almeno dei diversi professionisti della scrittura. Molto più difficile è però immaginare le dimensioni e le articolazioni interne del vasto spazio di repertori linguistici comunitari, di gruppi, individuali, che, durante l’alto medioevo, si situava al di là del “latino”. La stessa perimetrazione di questo concetto non può essere definita in maniera assoluta per l’epoca in esame.

I professionisti della scrittura nei centri della Langobardia Minor

Con riguardo alla Langobardia Minor, su cui il gruppo di ricerca lavora da diversi anni, le città longobarde di Salerno e soprattutto Benevento furono centri di scrittura di primaria importanza in Italia. Legata a Montecassino da antichi rapporti culturali, Benevento fu una città culturalmente molto attiva, che mantenne una propria fisionomia anche rispetto alle successive influenze carolingie.

La vita culturale cittadina gravitava intorno alla Cattedrale e all’annessa Scuola di grammatica che fiorì all’inizio del IX secolo. In questa scuola si formavano i notai della cancelleria vescovile, professionisti in grado di confezionare codici di alta qualità e redigere documenti in un latino che testimonia competenze linguistiche piuttosto elevate. Anche a Salerno, in Sacro Palatio, notai laici erano incaricati di redigere atti amministrativi e giudiziari.

Oltre ai notai di Benevento e di Salerno, che mostrano abilità linguistiche più sofisticate, vi erano notai dotati di capacità grafiche e abilità linguistiche più limitate. Si trattava di notai che operavano in centri periferici e rurali, prestando servizio come redattori di piccole transazioni. Queste notevoli differenze di contesti sociali all’interno di una stessa area sono di estremo interesse per le ricerche di sociolinguistica storica.

Le differenze linguistiche con i documenti provenienti dai ducati bizantini

D’altra parte, non meno interessanti sono comparazioni con i documenti altomedievali di aree limitrofe riconducibili ad una diversa sfera di influenza. Gli studi condotti dal gruppo di ricerca sulla documentazione campana mostrano, infatti, che tra gli atti notarili rogati nei centri della Langobardia Minor e quelli prodotti nelle zone bizantine costiere sussistono significative differenze linguistiche.

La lingua delle carte napoletane e amalfitane è contraddistinta da un insieme di strutture che fanno pensare ad un uso del latino come “lingua materna” che si è continuata a parlare per secoli. Si osserva infatti la naturale dinamica di una evoluzione spontanea di fenomeni, molti dei quali nella loro facies non classica hanno una attestazione antica in latino. Alcune innovazioni morfologiche e sintattiche sono condivise in una certa misura con testi di altre parti della Romània, ma sussistono fenomeni di conservazione che saranno peculiari, sul lungo periodo, dei volgari romanzi di queste aree.

Considerate in un confronto di cui bisogna pur tenere presente la difficoltà, le strutture dei documenti napoletani e amalfitani hanno scostamenti sensibilmente minori rispetto al latino grammaticalmente corretto di quante ne abbiano i documenti dei centri di scrittura dei domini longobardi. C’è nei documenti di area longobarda una forza di innovazione di strutture linguistiche, una sorta di indipendenza e libertà, di disinvoltura rispetto al latino di scuola che i documenti napoletani e amalfitani non hanno.

Portale della chiesa di San Marcello Maggiore a Capua
Portale della chiesa di San Marcello Maggiore con l’iscrizione proveniente dal tumulo di Audoalt, VII sec. Capua.

Il bilinguismo e la frontiera longobardo-bizantina in Campania

Per leggere in maniera adeguata e in un contesto più ampio le differenze linguistiche menzionate, bisogna tenere presente che tra la tarda antichità e l’alto medioevo i ducati bizantini di Napoli, Gaeta, Sorrento, Amalfi e i domini della Langobardia Minor furono avamposti di confine tra Oriente e Occidente.

La loro storia linguistica e culturale mostra un’interazione estremamente ricca e vitale di fenomeni di conservazione e innovazione. I territori bizantini e longobardi costituirono inoltre una reciproca frontiera linguistica tra una latinità antica e una nuova latinità acquisita dalle popolazioni germaniche.

I contesti storici dei due territori sono stati fattori non trascurabili che hanno influenzato lo sviluppo di differenti repertori sociolinguistici. Entrambi i territori erano multietnici, multiculturali e multilingui. La presenza di popoli di lingua greca aveva caratterizzato le zone costiere sin dalla prima colonizzazione greca dell’VIII secolo a.C. In queste zone il bilinguismo greco-latino era sopravvissuto per secoli, anche grazie al prestigio del greco in epoca romana e bizantina e ai continui rapporti commerciali con il Mediterraneo orientale e le comunità di lingua greca del Nord Africa.

Un forte processo di latinizzazione può essere fatto risalire per Napoli almeno alla fine dell’età repubblicana e fu completato nella prima età imperiale, senza che ciò comportasse la scomparsa del greco. Il greco potrebbe infatti essere stato una lingua viva, almeno in alcuni gruppi sociali, ancora fino al IX e X secolo.

D’altra parte, il bilinguismo latino-germanico, relativamente più recente, caratterizzò in maniera peculiare le zone che cadevano sotto il dominio dei Longobardi. Ci sono ragioni per credere che in questo caso il processo di latinizzazione abbia implicato una più rapida scomparsa della lingua a contatto con il latino.

I contesti sociali della cultura scritta in Campania

Le differenze di profondità temporale e di velocità di scomparsa delle condizioni di bilinguismo hanno importanti ricadute sulle caratteristiche linguistiche del latino scritto nei domini bizantini e longobardi. A ciò va aggiunto che nelle due aree sussistevano importanti differenze nella distribuzione sociale della cultura scritta.

Nel X secolo la Curia amministrativa napoletana aveva un’organizzazione gerarchica ed elitaria, in cui gli scrittori professionisti erano un gruppo chiuso di individui che appartenevano alla classe sociale dei proprietari terrieri e trasmettevano la loro competenza tecnica di padre in figlio.

Nei centri longobardi, invece, le scritture pratiche erano affidate a gruppi di laici, mentre la produzione libraria era appannaggio di ambienti ecclesiastici con status sociale e percorsi di formazione di livello più elevato rispetto ai professionisti laici.

È all’interno di questi diversi contesti sociali e culturali che si determinano le differenze linguistiche tra i documenti prodotti nei centri di scrittura bizantini e longobardi.

Miniatura di Rothari Rex dal Codex Cavensis 4
Miniatura di Rothari Rex tratta dal Codex Cavensis 4 in scrittura beneventana dell’XI sec. Abbazia della S.ma Trinità di Cava de’ Tirreni. © MiBACT, Biblioteca del Monumento Nazionale – Badia di Cava de’ Tirreni.

L’eredità del diritto romano

Un altro interessante ambito di ricerca che i documenti legali prodotti nei territori longobardi permettono di esplorare riguarda le trasformazioni del latino giuridico e dei modelli linguistici rappresentati dalle fonti del diritto romano. Come è noto, il diritto romano è una delle eredità più importanti del patrimonio classico, che è stato consegnato all’Europa medievale e moderna con un grande impatto sulla formazione delle identità culturali europee.

Esso ha costituito un sapere condiviso su cui si basano i sistemi legislativi dei moderni stati europei e ne ha influenzato in maniera profonda e duratura la storia politica e sociale e lo sviluppo di mentalità e costumi. La trasmissione del diritto romano ha comportato inoltre lo sviluppo di abilità tecniche e, non secondariamente, di abilità linguistiche.

Il ruolo dei Longobardi nella trasmissione della tradizione giuridica e amministrativa romana

Durante il medioevo i centri delle aree mediterranee hanno svolto un ruolo cruciale nella conservazione e trasmissione del diritto romano al resto del continente, con trasformazioni e adattamenti diversi a seconda dei luoghi e dei tempi. Nell’Italia altomedievale, una delle roccaforti di questa trasmissione, la tradizione giuridica e amministrativa romana si è conservata a Ravenna e nel sud bizantino nelle sue forme più pure.

Ma non va trascurato che l’eredità del diritto romano è stata consegnata all’Europa medievale e moderna in forme in cui hanno inciso in maniera significativa processi di rimodellamento mediati dalle popolazioni germaniche. La tradizione giuridica e amministrativa romana ebbe infatti grande importanza nella “etnogenesi” identitaria dei popoli germanici che vennero a contatto e convissero con i romani.

Le leggi longobarde (l’Editto di Rotari e le altre Leges Langobardorum) e i documenti legali dei centri di scrittura longobardi di varie parti della penisola italiana mostrano imponenti trasformazioni linguistiche del latino che prefigurano le nuove strutture della lingua e della società della penisola dei secoli successivi. Essi mostrano anche significativi mutamenti di mentalità e abitudini rispetto al patrimonio romano, che hanno avuto effetti duraturi sulla vita della società italiana del medioevo.

D’altra parte, il diritto longobardo è rimasto in vigore a lungo in Italia e, con riguardo ad alcuni istituti giuridici, in diverse aree del Mezzogiorno, fino quasi alle soglie dell’età moderna.

Né è un caso, dopotutto, che proprio nei domini della Langobardia Minor furono prodotte le prime testimonianze scritte del volgare italiano, i cosiddetti “Placiti capuani”.

Croce nastriforme in lamina d'oro a Brescia
Croce nastriforme in lamina d’oro, VII sec. Museo di Santa Giulia, Brescia. © Archivio fotografico Musei di Brescia / Fotostudio Rapuzzi.

Raffigurare la Latinitas Langobarda

Il logo del progetto Latinitas Langobarda è costituito da un pittogramma che riprende, in forma stilizzata, il modulo delle piastre che compongono la Corona Ferrea, un reperto di enorme rilevanza storica, artistica e culturale.

Le sue origini si perdono nel tempo, al punto che è difficile distinguere la realtà dalla leggenda: si racconta che fu realizzata a partire da un cerchio di ferro ricavato da uno dei chiodi della crocifissione di Gesù Cristo e per questa ragione è considerata una reliquia dalla Chiesa cattolica. In realtà si tratta, probabilmente, di un manufatto di origine ostrogota inviato a Costantinopoli e da lì riportato in Italia dal re Teodorico. Arrivò fino ai Longobardi e diventò un simbolo del potere regale: era usata per incoronare i sovrani, in un’ideale continuità con gli imperatori romani del passato, e la tradizione si mantenne nel tempo, fino al XIX secolo, mentre in Italia si susseguivano migrazioni e dominazioni straniere.

Attualmente la Corona Ferrea è custodita nel Duomo di Monza, costruito sui resti della Basilica di San Giovanni Battista fondata dalla regina Teodolinda.

La storia di questo straordinario oggetto racchiude in sé il percorso dei Longobardi e dei tanti popoli europei e mediterranei con cui sono entrati in contatto, in un continuum culturale reso possibile anche dal loro graduale processo di latinizzazione.